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O.P. Area Autogestita - Servizio di igiene mentale e assistenza psichiatrica (Simap) dell'Unità sanitaria locale (Usl) 27 di Bologna

Gerarchia:

Archivio fotografico dell'Istituzione "Gian Franco Minguzzi" della Città Metropolitana di Bologna » O.P. Area Autogestita - Servizio di igiene mentale e assistenza psichiatrica (Simap) dell'Unità sanitaria locale (Usl) 27 di Bologna

Denominazione:

O.P. Area Autogestita - Servizio di igiene mentale e assistenza psichiatrica (Simap) dell'Unità sanitaria locale (Usl) 27 di Bologna

Tipologia:

serie

Data:

[1979 - 1990]

Consistenza:

322 materiale misto

Descrizione:

Si compone di fotografie relative alla struttura e ad alcune delle attività da questa sostenute.

In particolare si conservano immagini che documentano:

- inaugurazione nell'aprile 1979;
- esterni ed interni dell'edificio;
- scantinato dell'ex Ospedale psichiatrico provinciale "Francesco Roncati" di Bologna;
- una lezione e gli ospiti frequentanti il corso di tessitura organizzato dall'O.P. Area autogestita nell'ambito delle attività formative e ricreative;
- gite e viaggi organizzati per gli ospiti della struttura;
- attività ricreative e animazioni organizzate per gli ospiti;
- riproduzioni dei manufatti realizzati dagli ospiti durante i laboratori artistici e tessili;
- gli interni dell'abitazione di Triestina, un'ex ospite della struttura;
- due edizioni della "Festa di Primavera", manifestazione organizzata presso il cortile della struttura;
- alcuni degli ospiti e dei soci della cooperativa sociale Iacoop di Bologna, ritratti in diverse occasioni.

Storia archivistica:

L'O.P. Area autogestita venne istituita nel 1979 con il proposito di puntare al reinserimento sociale, residenziale e lavorativo dei pazienti ancora degenti presso l'Ospedale psichiatrico provinciale "Francesco Roncati" di Bologna alla data della sua dismissione, il 31 dicembre 1980 (art. 64, legge n. 833/1978).
A questa data si verificò anche il passaggio della gestione dell'assistenza psichiatrica bolognese dall'Amministrazione provinciale all'Unità sanitaria locale (Usl) 27 di Bologna, all'interno della quale venne istituito il Dipartimento di salute mentale e il relativo Servizio di igiene mentale e assistenza psichiatrica (Simap) al quale l'O.P. Area autogestita faceva capo.
Il nuovo assetto organizzativo prevedeva:

- l'O.P. Area autogestita, un'area residenziale e semiresidenziale psichiatrica e un'area psichiatrica, per i degenti ancora ricoverati al 31 dicembre 1980 che necessitassero o richiedessero la continuazione di interventi curativi o di assistenza residenziale;
- il mantenimento dei preesistenti bar-centro sociale, laboratorio di lavorazioni e Scuola d'arte "Francesco Roncati", quali servizi di supporto ai programmi di riabilitazione e risocializzazione degli ospiti delle strutture.

Le attività di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi psichici, l'assistenza domiciliare, ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale proseguirono fino alla metà degli anni Novanta del Novecento, quando si ebbe lo smantellamento definitivo dell'ex Ospedale psichiatrico bolognese.

L'O.P. Area autogestita fu inaugurata nell'aprile 1979 con trenta ospiti, quindici uomini e quindici donne, in prevalenza persone ricoverate da un minimo di dieci ad un massimo di trenta anni in modo continuativo nell'ex Ospedale psichiatrico.
La struttura, basata sulla partecipazione di tutti e su assemblee quotidiane tra infermieri, tirocinanti, assistenti sociale, malati e i due medici responsabili, il professor Gabriele Calderoli e la professoressa Anna Castellucci, si propose, fin dalla sua formulazione istitutiva, come luogo di abitazione e di assistenza. Uno spazio capace di favorire il processo di riappropriazione dell'identità personale e di riapprendimento sociale e lavorativo degli ospiti e, nello stesso tempo, di stimolare in questi ultimi l'emancipazione dal condizionamento lasciato dai lunghi periodi di istituzionalizzazione, favorendo così il loro reinserimento nel tessuto sociale.
Le caratteristiche innovative dell'Area autogestita si riscontarono in primo luogo nell'autonomia della struttura rispetto all'organizzazione dell'ex Ospedale psichiatrico. In concreto, il primo atto di autonomizzazione si realizzò, da un lato, con la dismissione dei pazienti dalla struttura manicomiale e il loro ingresso nell'Area autogestita come ospiti, dall'altro con l'istituzione di una gestione amministrativa e contabile separata.
Gli atti deliberativi che istituirono la nuova struttura, oltre a definirne i criteri di funzionamento di massima (numero degli ospiti, numero degli operatori, ammontare dello stanziamento necessario, qualifica del personale addetto, etc.) precisavano anche che i particolari scopi perseguiti dall'Area autogestita ponevano agli operatori, ai diversi livelli di responsabilità, dei compiti diversi rispetto a prima e richiedevano modalità di lavoro per molti aspetti nuove rispetto agli schemi ospedalieri tradizionali. L'autonomia degli operatori si concretizzava nella possibilità di agire non come meri custodi ed esecutori di regole predefinite da un'istituzione, ma piuttosto come creatori di stili d'intervento centrati sulle persone, che li vedeva tesi in un ruolo attivo nel processo riabilitativo, più disponibili a cogliere le esigenze personali degli ospiti e a gestire conflittualità e momenti problematici in modo non repressivo, con un'operatività volta anche all'esterno, per costruire rapporti con il tessuto cittadino. A livello pratico, le innovazioni rispetto al passato, furono: l'abbandono della divisa, la rinuncia alla distribuzione controllata degli psicofarmaci, la messa in discussione della sorveglianza notturna e dell'esclusiva gestione delle pulizie, l'istituzione delle assemblee con gli ospiti, il passaggio dalle cartelle cliniche alla compilazione di una sorta di diari nei quali registrare i risultati dell'osservazione degli ospiti.
Gli spazi dell'Area autogestita (cucina, camere da letto, salotto, sala tv, atelier, etc.), venivano utilizzati dagli ospiti a seconda delle proprie esigenze e preferenze, per svolgervi le attività più diverse, senza che questo rendesse necessario alcun tipo di controllo da parte degli operatori. La riappropriazione degli spazi passava anche dalla personalizzazione, la manutenzione e la condivisione degli stessi. Gli orari della struttura erano per lo più vincolati agli orari della mensa, alla chiusura serale del portone e alle abitudini degli ospiti derivanti dal processo di interiorizzazione - durato anni - di regole e comportamenti istituzionali.
Cardine del percorso di riappropriazione di sè e di reintegrazione nella società era la riscoperta e la riconquista degli spazi esterni alla struttura, ovvero della città, del mondo esterno. Con questa finalità venivano programmate diverse attività in giorni fissi della settimana: commissioni e acquisti guidati in città, visite guidate a Bologna e in altre località, soggiorni estivi ed eventi organizzati negli spazi della struttura per avvicinare agli ospiti non solo la famiglia, ma anche la comunità locale, attraverso scambi culturali, ricreativi e di intrattenimento (Festa di primavera, spettacoli teatrali, "Martedì musicali", etc.). A queste attività vennero affiancate, su richiesta degli ospiti stessi, anche la pratica e la frequentazione di uffici pubblici (anagrafe, collocamento, case popolari, pensioni, sindacati, consultori familiari), di locali pubblici, di negozi di quartiere e di ambulatori medici, allo scopo di mettere in discussione la delega che per anni era stata lasciata all'istituzione di ricovero e di riappropriarsi dei propri documenti personali, nella maggior parte dei casi, in possesso di altri.
Queste esperienze permisero l'avvio di progettualità che nel tempo si concretizzarono nella volontà di essere reintegrati nel mondo del lavoro e di trovare una dimensione abitativa esterna autonoma. Le nuove esigenze avevano però messo in luce l'effettiva insufficienza di strumenti concettuali adeguati a questi nuovi compiti, motivo per cui vennero quindi istituiti diversi gruppi, organizzati in incontri a cadenza settimanale, nei quali ospiti, operatori, assistenti sociali, medici e famigliari, si confrontavano su problematiche relative alla famiglia d'origine (gruppo "famiglia"), al lavoro (gruppo "lavoro"), al denaro (gruppo "soldi") e alla casa (gruppo "casa").
Parte integrante delle attività di riabilitazione che coinvolgevano gli ospiti, il personale della struttura, le istituzioni e in alcuni casi anche i famigliari furono la preparazione degli ospiti all'inserimento lavorativo e all'uscita dall'Area autogestita.
Nel primo caso si rendeva necessario affrontare il tema del lavoro in un'ottica non più assistenziale, ma di riaffermazione del proprio essere sociale, grazie all'espressione del proprio potenziale e alla formazione. Per quel che riguardava invece l'abbandono da parte degli ospiti degli spazi residenziali assistiti, questo non poteva essere un mero atto burocratico, ma doveva coincidere con la conquista soggettiva della nuova dimensione abitativa autonoma. Una conquista che non poteva prescindere dall'espletamento guidato, ma attivo, degli atti amministrativi necessari al trasferimento e dalla sistemazione dell'abitazione.

La documentazione è conservata da:


La documentazione è stata prodotta da:


Redazione e revisione:

  • Redatta in xDams , 15/07/2015 - 11/01/2016