Città degli archivi

Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e annessa opera pia Orfanotrofio S. Leonardo

Sede:

Bologna, 1860 - 2006

Date di esistenza:

  • 1860 - 2006

Intestazioni:

  • Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e annessa opera pia Orfanotrofio S. Leonardo, Bologna, (1989 - 2006)
  • Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse, Bologna, (1965 - 1988)
  • Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse, Bologna, (1947 - 1965)
  • Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele Ii e opere pie annesse, Bologna, (1864 - 1947)
  • Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II, Bologna, (1860 - 1864)

Altre denominazioni:

  • Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse, 1965 - 1988
  • Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse, 1947 - 1965
  • Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele Ii e opere pie annesse, 1864 - 1947
  • Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II, 1860 - 1864

Descrizione:

Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II (1860-1864)
Il Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II fu fondato, per iniziativa di una società di benefattori, il 10 marzo 1860 con decreto del governatore delle regie province dell'Emilia. L'art. 1 del suddetto decreto, noto come "decreto Farini" (dal nome del governatore) prescrive:
"È autorizzata la istituzione di un asilo di mendicità per i mendichi invalidi nel locale già convento di S. Bernardino nella via Morelli, che avrà denominazione di Regio ricovero di mendicità per la città e la provincia di Bologna".
Il ricovero fu effettivamente aperto soltanto l'1 ottobre 1861 e fu intitolato a Vittorio Emanuele II, re d'Italia.
Come si legge nel primo regolamento adottato (n.d.r. "Regolamento fondamentale del Regio istituto da stabilirsi in Bologna per i mendicanti della città e provincia", 1860, in ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA [d'ora in poi ASBo], Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 3, fasc. 2 (copia manoscritta); ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Ospizio vecchi settuagenari, s. II, b. 1, fasc. 3 (copia a stampa).), scopo di tale istituto era "di dare soccorso, ricovero ed anche lavoro ai mendicanti onde curare la piaga sociale dell'oziosità questuante" (art. 2). Erano ammessi gli accattoni di ambo i sessi, di ogni età, che fossero incapaci a un lavoro bastevole a campare la vita, non affetti da malattia contagiosa, nativi della città di Bologna o in essa domiciliati da dieci anni e impossibilitati ad essere ammessi in altre strutture caritatevoli (art. 13). Il ricovero godeva della protezione regia e del patrocinio religioso della Beata Vergine di S. Luca (artt. 6-7). La prima sede dell'istituto fu l'ex convento di S. Bernardino, in via Morelli (art. 12); il primo presidente fu il sindaco della città, il marchese Luigi Pizzardi. L'amministrazione del ricovero era composta da trentotto membri, di cui tre stabili - il sindaco e due consiglieri deputati dal Consiglio comunale - e trentacinque eletti periodicamente dall'Assemblea dei soci contribuenti. In seno all'Amministrazione veniva eletta una Direzione composta da un presidente, un vice-presidente e dieci direttori. Come prescrive l'art. 19 del regolamento, ai direttori spettavano "le speciali attribuzioni di sorveglianza sulla moralità, sulla segreteria, sulla contabilità e cassa, sul servizio interno, sulla amministrazione dei fondi e stabili, ove la società ne possegga, sul lavoro dei ricoverati, sul contenzioso, sul servizio sanitario, per le questue, feste a fine di beneficenza, ed altri simili proventi".
Ogni mese, tra gli amministratori non facenti parte della Direzione, venivano eletti due visitatori. Costoro avevano il compito di vigilare sulle regolari attività del ricovero, al fine di rendere più efficiente il servizio di assistenza.
Nel 1861, con r.d. del 13 ottobre, vennero fuse nel nuovo Ricovero di mendicità le gestioni e le rendite patrimoniali del Pio spedale degli abbandonati del Ss. Salvatore e ricovero uniti:
"Art. 1: È fatta facoltà al Corpo centrale amministrativo degli spedali di Bologna di cedere in favore del nuovo Ricovero di mendicità, da istituirsi, il locale detto di S. Gregorio ed adiacenza coi patrimoni rispettivi dello Spedale abbandonati e ricovero uniti, nei modi e sotto le condizioni stabilite col citato verbale 23 agosto prossimo passato".
A motivare tale fusione concorsero la necessità per il Regio ricovero di trovare una nuova sede (poiché l'ex convento di S. Bernardino "era stato occupato dal governo per servizio militare" (n.d.r. Così si legge nella convenzione con cui viene affidato al Regio ricovero l'uso del locale dello Spedale degli abbandonati e ricovero uniti, in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 3, fasc. 5.)) e la sostanziale uniformità degli scopi assistenziali delle due opere pie. Va rilevato che lo "Statuto per la riforma degli ospedali di Bologna", diretta emanazione del decreto Farini del 1860, aveva circoscritto le finalità dell'Ospedale abbandonati e ricovero uniti all'attività ospedaliera (n.d.r. ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Statuti regolamenti notizie storiche diverse, b. 6.). Pertanto il Regio ricovero Vittorio Emanuele II estese la propria beneficenza anche ai mendicanti affetti da malattie, per i quali fu predisposta un'apposita sezione.
Nella seduta del 28 aprile 1863, il Consiglio provinciale di Bologna affidò al Regio ricovero l'amministrazione del Patrimonio ex gesuitico. Si trattava delle cospicue proprietà appartenute alla Compagnia di Gesù, che era stata sciolta per r.d. del 20 novembre 1859 (n.d.r. Si vedano il verbale del Consiglio provinciale del 28 aprile 1863 e l'Atto di consegna del 5 febbraio 1864, conservati in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Patrimonio ex gesuitico, b. 1, fasc. "Patrimonio ex gesuitico. Documentazione dell'origine".).
Nell'ottica di dare un nuovo e più funzionale assetto alle opere pie del Comune di Bologna, il r.d. 28 agosto 1864 affidò al Ricovero di mendicità l'amministrazione dell'Orfanotrofio S. Leonardo (ultimo residuo delle attività gestite dall'antica Opera dei mendicanti) e dell'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe e dell'Ospizio dei preti poveri (n.d.r. L'Ospizio dei preti poveri ritrovò l'autonomia per r.d. 14 luglio 1867 e fu affidato a un'amministrazione di sacerdoti.).
L'articolo 8 del decreto (n.d.r. Una copia dattiloscritta del decreto è conservata in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Statuti regolamenti notizie storiche diverse, b. 5, fasc. "Ospedale Abbandonati. Notizie storiche".) specificò:
"Tanto la Congregazione di carità, quanto la direzione del Regio istituto Vittorio Emanuele, e le altre speciali amministrazioni, come sopra costituite, non muteranno in nulla la natura, e gli scopi delle opere pie, la cui gestione viene loro affidata, delle attività e passività delle quali dovrassi tenere conto distinto".
La denominazione dell'Istituto mutò, pertanto, in Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse.
Regio ricovero Vittorio Emanuele II e opere pie annesse (1864-1947)
Nel 1873, a seguito dell'annessione al Regio ricovero, si provvide alla redazione di nuovi statuti per l'Orfanotrofio S. Leonardo e l'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe (n.d.r. Le copie manoscritte dei due statuti sono conservate rispettivamente presso ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Orfanotrofio S. Leonardo, Serie II, b. 3, fasc. 2 e ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Ospizio vecchi settuagenari, s. II, b. 3, fasc. 4.). In entrambi si specificava che gli istituti avrebbero tenuto "distinti lo scopo e la speciale natura" e "separate le attività e passività" dei rispettivi patrimoni. Nello statuto dell'Orfanotrofio S. Leonardo si ribadiva che l'istituto era preposto ad "accogliere gli orfani di ambo i sessi; istruirli; educarli ai mestieri onde poter campare onestamente la vita." (art. 2). Veniva inoltre specificato che potevano essere ammessi in istituto gli orfani veramente poveri, di età compresa tra i sette e i dodici anni, cattolici e cittadini bolognesi o residenti in città da almeno dieci anni (artt. 6-8). Il percorso scolastico ed educativo era diversificato in base al sesso: i maschi frequentavano le scuole pubbliche ed erano educati all'apprendimento di un mestiere presso le botteghe artigiane cittadine; le femmine ricevevano un insegnamento privato, da tenersi all'interno della struttura, ed erano educate allo svolgimento dei lavori domestici e familiari.
Gli orfani ricevevano un piccolo salario che in parte era trattenuto presso l'istituto (per coprire le spese del loro mantenimento), in parte era versato in una cassa di risparmio. Una volta dimessi (in genere al compimento del diciottesimo anno di età) i ragazzi avrebbero potuto giovarsi della somma accumulata. A beneficio delle orfane, invece, venivano capitalizzati risparmi per procurare loro una dote.
Come l'orfanotrofio, anche l'Ospizio dei vecchi settuagenari mantenne inalterate le proprie funzioni. L'art. 6 riaffermò, infatti, i criteri che avevano disciplinato le ammissioni fin dalla fondazione dell'istituto nel 1642:
"Sono ammissibili i vecchi poveri, che abbiano compiuto il settantesimo anno di loro età, che sieno nati in Bologna od ivi dimoranti, non ammogliati, non affetti da malattie morbose, di buona morale e civile condotta, scevri di inquisizioni criminali da anni 40 in poi".
Con l'accorpamento delle due opere pie, l'attività del Regio ricovero andò progressivamente aumentando. Di contro, la beneficenza privata, che aveva contribuito allo sviluppo del ricovero nei primi anni della sua attività, cominciò presto ad affievolirsi, al punto che il 18 settembre 1873 fu approvato un rapporto compilato dall'ingegner Raffaele Faccioli che proponeva la sospensione delle ammissioni:
"La Direzione propone che venga dichiarato e riconosciuto non potere il Ricovero di mendicità, nelle attuali condizioni finanziarie, mantenere che il numero limitato di individui che sia compatibile coi mezzi di cui può disporre. In conseguenza di che chiede di essere autorizzata a dare comunicazione di ciò alle autorità governative, provinciali e comunali, ed a sospendere un mese dopo fatto tale comunicazione, qualunque ammissione pel corrente esercizio, salvo di dimettere in quel modo, e con quei temperamenti che saranno riconosciuti più opportuni, d'accordo colle predette autorità, tutti quei degenti nel Ricovero che non possono essere alimentati coi redditi della pia azienda" (n.d.r. "Risposta alla relazione della Commissione municipale incaricata di studiare provvedimenti per dare un assetto stabile al Ricovero di mendicità", p. 2, in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 4.).
Gli aiuti elargiti dal Comune e dalla Cassa di risparmio di Bologna non furono sufficienti a garantire una solidità economica all'istituto. La situazione non si assestò neppure quando, con r.d. del 6 novembre 1880 giunse nelle casse del Ricovero il patrimonio dell'Eredità Ferrarini, destinato al sostentamento dei ricoverati non vedenti.
Per far fronte alla difficile situazione, la Direzione mirò al consolidamento delle opere pie gestite, ricercando un assetto amministrativo più stabile. Ne derivò un nuovo statuto organico (n.d.r. ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 4.) varato dal Consiglio amministrativo nel 1884 e approvato con r.d. l'11 marzo 1886. Il nuovo statuto, più sintetico ed efficace rispetto al "Regolamento fondamentale" del 1860, prevedeva la soppressione della distinzione fra Direzione e Amministrazione e la conseguente costituzione di un unico Consiglio amministrativo di 15 membri, nominati ogni tre anni dal Consiglio comunale (8 consiglieri), dal Consiglio provinciale (4 consiglieri) e dalla Società dei contribuenti (3 consiglieri). I Consiglieri sceglievano nel proprio seno un presidente e un vice-presidente che rimanevano in carica un anno ed erano sempre rieleggibili. Il nuovo statuto esplicitò meglio anche i requisiti per l'ammissione, che tennero conto del fatto che il ricovero non aveva i mezzi per dare accoglienza a tutti i poveri della città. Pertanto venne data la precedenza alle persone che "sia per la tarda età, o sia per la età troppo tenera, o sia infine per infermità croniche od incurabili non si trovino in grado di provvedere al proprio sostentamento" (n.d.r. Rapporto della Presidenza ai signori soci contribuenti sull'andamento morale ed economico delle pie aziende nel triennio 1883-85, Bologna, G. Cenerelli, 1886, p. 14 (ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 4).).
Nel 1888 pervenne nelle casse dell'Ospizio dei vecchi settuagenari (amministrato dal Regio ricovero) l'Eredità Carletti, tra i cui beni era incluso il teatro Arena del sole. L'Ospizio dei vecchi settuagenari fu nominato erede universale anche da Francesco Zamboni, che elargì uno dei più cospicui lasciti di cui l'istituto poté giovarsi. L'autorizzazione ad accettare l'eredità fu concessa con r.d. il 20 novembre 1887, ma questa entrò ufficialmente nelle casse dell'opera pia solo nel 1893. Il testatore pose specifiche condizioni, tra cui la richiesta di un'amministrazione patrimoniale distinta, sotto il nome di Eredità Zamboni e la predisposizione di tanti ricoveri quanti ne avrebbero permessi le rendite nette del patrimonio.
Nel 1890 il Regio ricovero fu coinvolto nel profondo cambiamento apportato al settore della beneficenza dalla legge Crispi (n.d.r. Legge 6972 del 17 luglio 1890.). Pur mantenendo autonomia statutaria, divenne a tutti gli effetti un ente pubblico e acquisì la denominazione di Istituto pubblico di assistenza e beneficenza (Ipab). Venne così istituita un'apposita commissione con il compito di elaborare un nuovo "Regolamento generale d'amministrazione", approvato nel 1892 (n.d.r. ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 1, fasc. 3.). Come si legge nel "Resoconto morale per gli esercizi 1886-1892", tale commissione estese il proprio lavoro di revisione anche allo statuto, proponendo lievi modifiche (n.d.r. Resoconto morale per gli esercizi 1886-1892, Bologna, G. Cenerelli, 1893 pp. 14-16 (in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio Ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 4, fasc. 3).). In quegli anni si procedette, inoltre, alla ristrutturazione dei locali del ricovero e a una riorganizzazione delle sedi delle opere pie amministrate. Nella seduta del 9 dicembre 1892, il Consiglio di amministrazione deliberò, infatti, che l'Ospizio dei vecchi settuagenari fosse trasferito nei locali dell'orfanotrofio maschile, in via S. Vitale 59. La nuova sede dell'ospizio fu inaugurata nel 1894 e per l'occasione fu distribuita a tutti gli invitati una monografia sulle origini dell'opera pia, redatta da Carlo Biancoli, segretario del Ricovero di mendicità (n.d.r. C. BIANCOLI, Origini e vicende dell'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe, Bologna, Compositori, 1894, conservata in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Ospizio vecchi settuagenari, s. II, b. 1, fasc. 3.). Nella stessa seduta si deliberò il trasferimento degli orfani nella sede di via Albertoni, con il progetto di affidarli a famiglie di artigiani, a spese dell'azienda. Questo provvedimento decretò, di fatto, la soppressione della sezione maschile dell'orfanotrofio (n.d.r. "Cenni storici sull'Orfanotrofio S. Leonardo, già Opera pia dei mendicanti" di Paolo Silvani, relazione dattiloscritta, datata settembre 1924 (ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Orfanotrofio S. Leonardo, s. II, b. 1, fasc. 3).). Da quel momento in poi l'attività di vera e propria accoglienza fu rivolta soltanto alle bambine con almeno un genitore defunto o di madre e padri ignoti.
All'inizio del Novecento l'Ipab Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse si presentava come un ente composito che comprendeva tre distinti istituti aventi autonoma personalità giuridica e indipendenti patrimoni:
- Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II;
- Orfanotrofio S. Leonardo;
- Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe;
e quattro patrimoni dotati di autonomia, ma privi di personalità giuridica:
- Patrimonio ex gesuitico;
- Eredità Ferrarini;
- Eredità Zamboni;
- Eredità Mattei (n.d.r. Entrata nelle casse dell'Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe per r.d. del 20 ottobre 1905).
Tali istituti e patrimoni erano gestiti e rappresentati da un'unica Amministrazione centrale e, in ottemperanza al regolamento del 1892, ogni istituto era "affidato a un direttore, scelto nel proprio seno dal Consiglio amministrativo" (Artt. 82, 83).
Nel primo dopoguerra, per far fronte alla crescente crisi economica, il commissario prefettizio dell'opera pia, l'avvocato Adolfo Cicognani, realizzò l'unificazione dei tre istituti dipendenti dal Regio ricovero. Nello stabile di via Albertoni vennero riuniti l'Orfanotrofio S. Leonardo e l'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe. Tale provvedimento ebbe come effetto immediato un sensibile risparmio sulle spese generali e un migliore coordinamento dei servizi. Nella seduta dell' 8 novembre 1919, il Consiglio di amministrazione deliberò che la sezione ospedaliera del ricovero fosse denominata "Ospedale Pizzardi", con l'intento di onorare il benefattore Carlo Alberto Pizzardi e suo padre Luigi che dell'istituto era stato il primo presidente. Nel 1927, presso l'antico portico dei mendicanti (sempre in via Albertoni) furono iniziati i lavori di un nuovo edificio da destinare a sede dell'Ospizio dei vecchi settuagenari.
Nell'aprile del 1929 Vittorio Emanuele III concesse al Regio ricovero l'adozione di uno stemma blu, recante la sigla R.M. sormontata da una corona (n.d.r. Il prototipo dello stemma e la comunicazione ufficiale della concessione sono conservati in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 3, fasc. 2.).
Erano gli anni dell'affermazione del fascismo: il carteggio e i verbali delle sedute del Consiglio attestano la pressante ingerenza del regime sull'istituto. Una circolare riservata dell'11 marzo 1927 (prot. 538) prescriveva di dispensare dall'impiego tutti coloro che si ponessero in condizioni di incompatibilità con le direttive del Governo (n.d.r. ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 2, fasc. 4.). Nel 1933 (n.d.r. Comunicazione ufficiale del 17 novembre 1933 (prot. 1703), ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 2, fasc. 4.) fu imposto ai dipendenti il saluto romano e nel 1937 le orfane del S. Leonardo furono iscritte all'Opera nazionale balilla (n.d.r. Verbale della seduta del Consiglio amministrativo del 24 aprile 1937, oggetto n. 2.) e, all'indomani dell'introduzione in Italia delle leggi razziali, la Prefettura di Bologna fece esplicito richiamo all'amministrazione affinché non affidasse più forniture a ditte appartenenti a persone di "razza ebraica" (n.d.r. Prot. n. 522, 8 marzo 1939, in ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Regio ricovero Vittorio Emanuele II, s. III, b. 2, fasc. 4.). Nella seduta di Consiglio del 26 ottobre 1939, sulla base delle indicazioni ricevute dal Governo, il presidente Alberto Coltelli propose una riforma degli articoli 4, 5 e 6 dello Statuto organico. Le modifiche presentate prevedevano una riduzione del numero degli amministratori, da quindici a sette, e l'inclusione tra questi di un membro designato dal comando federale della Gioventù italiana del littorio (Gil) e di uno nominato dal Provveditore agli studi (n.d.r. "In seguito ai provvedimenti presi dal regime [...] il Ministero dell'Interno ha prospettato l'inclusione nei Consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza preposte ad asili e ad istituti di assistenza giovanili di un componente designato dal Comando federale della Gil".).
Stando a quanto emerge dalle ricerche sulla documentazione amministrativa, tale proposta di riforma non sembra aver trovato un'effettiva applicazione. Va inoltre rilevato che il 27 febbraio 1947, nella seduta di insediamento del primo Consiglio amministrativo del dopoguerra, il commissario prefettizio ribadì la composizione del Consiglio prevista dallo statuto del 1884:
"Il consiglio si compone di quindici membri: otto di nomina del Comune, quattro della Provincia e tre dei soci contribuenti. Essa nomina nel proprio seno il presidente, il vice presidente, i direttori ai tre istituti e costituisce le sezioni consultive che sono tre: tecnica, di beneficenza e legale. Ogni consigliere deve far parte almeno di una delle commissioni. Il presidente a sua volta nomina i delegati agli uffici e ai servizi - alla campagna, all'economato, alla ragioneria e cassa delle ammissioni- riservando a sé quelli che ritiene opportuno".
Lo scoppio della seconda guerra mondiale aveva provocato alcuni mutamenti nell'assetto organizzativo delle opere pie amministrate dal Regio ricovero. Il 25 luglio 1940, la sede dell'orfanotrofio, che era stata trasferita in via Pelagio Pelagi 9, fu requisita dall'Autorità militare italiana e trasformata in ospedale militare. Dal 17 settembre 1943 l'edificio fu occupato dal comando tedesco fino al 23 aprile 1945, quando fu confiscato dalle truppe alleate. Le orfane furono quindi temporaneamente trasferite nella sede dell'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe, in una sezione separata dagli anziani. Finita la guerra il Consiglio amministrativo del Regio ricovero deliberò di affittare l'edificio di via Pelagio Pelagi alla Croce rossa. Le condizioni in cui si trovava rendevano, infatti, impossibile il trasferimento dell'orfanotrofio in quella sede.
All'indomani del referendum che trasformò l'Italia in repubblica, fu deliberata l'eliminazione della corona reale dallo stemma. Per la stessa ragione la denominazione dell'istituto perse l'appellativo "Regio", tramutandosi in "Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse" (deliberazione del 17 aprile 1947, oggetto 4).
Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse (1947-1965)
Nel 1948 lo stabile dell'Orfanotrofio S. Leonardo, debitamente ristrutturato, fu affittato all'Amministrazione degli ospedali di Bologna, perché vi fossero impiantati alcuni reparti dell'Ospedale Maggiore, distrutto dai bombardamenti.
Nel 1951 la sezione ospedaliera Pizzardi mutò denominazione in "Ospedale Marcello Malpighi", onde evitare equivoci con un altro istituto cittadino intitolato al benefattore. Al marchese fu quindi dedicata la sala di ritrovo della sezione maschile del Ricovero (n.d.r. Il provvedimento fu approvato con le deliberazioni del 17 maggio e 27 settembre 1950 e confermato dall'ordinanza del Comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica del 9 gennaio 1951.). Contestualmente il Consiglio amministrativo deliberò di sostituire la denominazione "Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse in Bologna" con "Casa di riposo in Bologna e istituti annessi", dicitura che venne rettificata, per effetto della deliberazione del 28 marzo 1951, in "Casa di riposo per inabili al lavoro di Bologna". Tali modifiche, però, non ricevettero mai un'ufficializzazione e l'istituto continuò ad essere conosciuto con il nome di Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II.
Nel 1956, per adempiere agli obblighi imposti dall'eredità Scagliarini (accettata con deliberazione del 4 gennaio 1944), fu aperta una sezione femminile dell'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe. Lo Scagliarini, nel nominare il Ricovero di mendicità suo erede universale, aveva infatti avanzato la specifica richiesta di "aggregare all'ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe una separata sezione per le vecchie da reggersi con identico statuto del detto ospizio, fatta soltanto eccezione dell'età da esservi ammesse che sarà di anni 60 anziché settanta".
Sempre per assolvere le volontà del testatore, nella seduta del 22 novembre 1956, il Consiglio amministrativo ordinò il trasferimento della sede amministrativa dell'istituto da via Drapperie 6 a palazzo Scagliarini, sito in via Riva di Reno 77:
"Il Consiglio amministrativo, udito il riferimento del Presidente; viste le disposizioni testamentarie del compianto avvocato Arturo Scagliarini alla cui memoria tributa ancora una volta un riconoscente omaggio: delibera di trasferire la sede dell'amministrazione del Ricovero di mendicità ed opere pie annesse in Bologna, dalla casa Modonini di via Drapperie 6, ove hanno avuto residenza oltre 60 anni, in adempimento delle disposizioni testamentarie del dottor Bernardo Modonini, nel palazzo Scagliarini di via Riva Reno n. 77, in adempimento delle disposizioni testamentarie dell'avvocato Arturo Scagliarini a termine delle quali il trasferimento doveva essere effettuato entro il 31 dicembre 1956".
Nel 1961, per effetto di una convenzione stipulata il 1 ottobre con i Pii istituti educativi, le alunne del S. Leonardo furono trasferite presso l'Istituto del Baraccano. Fu pertanto definitivamente risolto il problema della convivenza tra orfane e anziani, che - come si è detto - aveva avuto origine dalla requisizione della sede dell'orfanotrofio da parte delle truppe alleate nell'aprile 1945.
Nelle sedute di Consiglio del 4 gennaio 1958 e del 1 luglio 1963 si ricominciò a discutere sull'opportunità di mutare la denominazione dell'ente. La deliberazione del 22 giugno 1964, ufficializzata dal d.p.r. 26 aprile 1965, decretò l'adozione della denominazione "Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse".
Nel 1964 l'istituto prese in affitto una struttura ospedaliera privata, nei pressi di Rastignano, che venne adibita a sede del reparto urologico del dipendente Ospedale Malpighi (deliberazione n. 233 del 23 dicembre 1964).
Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse (1965-1988)
Il 13 ottobre 1966 un Provvedimento presidenziale in forma di consiglio del presidente Giorgio Colliva decretò il trasferimento d'urgenza dei ricoverati dall'ospizio di via Albertoni nella struttura di via Portazza, di proprietà del Comune. Il 29 settembre 1966 si era, infatti, staccato dal soffitto un pezzo d'intonaco che, cadendo, aveva ferito una degente. Nel 1967, tramite una permuta di fondi agrari, la struttura di via Portazza venne acquisita dall'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, di cui è tuttora la sede centrale (n.d.r. Attualmente è nota come sede di viale Roma.).
L'adozione della nuova denominazione e le mutate funzioni assolte dall'istituto, che era in procinto di estendere la propria attività ospedaliera dalla sola assistenza ai malati cronici alla cura di alcune malattie acute, rese necessaria una riforma statutaria. Con le deliberazioni n. 143 del 6 luglio 1966 e n. 170 dell'1 settembre 1967, fu così riformulato il contenuto degli articoli 1 e 29 dello Statuto del 1884:
"Art. 1: Il Regio istituto o ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II ora Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII per d.p.r. 26 aprile 1965 venne eretto in Bologna da una società di benefattori con decreto 10 marzo 1860 del governatore delle regie province dell'Emilia. Esso ha per iscopo di dare ospitalità ed assistenza ospedaliera alle persone particolarmente bisognose, prevalentemente anziane".
"Art. 29: Gli assistiti affetti da malattie croniche od a lungodegenza sono curati nell'ospedale per cronici e lungodegenti dell'istituto, qualunque sia la loro affezione morbosa. Gli assistiti affetti da malattie acute od a brevedegenza sono curati nell'ospedale per acuti e brevidegenti dell'istituto se la loro affezione morbosa è curabile in reparti di specialità medico-geriatriche e di urologia. Gli assistiti affetti da malattie acute od a brevedegenza, non rientranti tra quelle sopra specificate, sono, invece, avviati agli altri ospedali cittadini, per esservi accolti in conformità alle norme di quegli stabilimenti".
Le modifiche furono sancite dal d.p.r. del 30 novembre 1967.
Nel 1971 le amministrazioni dell'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e dei Pii istituti educativi modificarono le modalità di assistenza delle orfane del S. Leonardo. All'accoglienza presso l'istituto del Baraccano sostituirono l'erogazione di un assegno mensile che garantisse alle bambine la possibilità di vivere presso le loro famiglie d'origine o in piccole comunità.
Nel 1976, per effetto del Decreto del presidente della Giunta regionale Emilia Romagna n. 241 del 6 aprile, vennero scorporate le attività ospedaliere dalle attività assistenziali. L'Ospedale Malpighi acquistò, pertanto, totale autonomia e cominciò ad essere governato da un proprio Consiglio amministrativo. L'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII limitò, dunque, la propria area di intervento agli anziani sani o parzialmente infermi. Nel verbale della seduta di Consiglio del 2 settembre 1976 si legge, infatti:
"Il nuovo Consiglio qui presente - dice Colliva - si insedia nel particolare momento, in cui dall'Istituto Giovanni XXIII viene scorporata l'attività ospedaliera svolta nel complesso architettonico di via Pelagio Palagi e via Albertoni. Sono note a tutti i presenti - continua il presidente Colliva - le ragioni che sono alla base della costituzione dell'ente ospedaliero Marcello Malpighi. L'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, fin dalla sua fondazione (voluta da un gruppo di benefattori bolognesi nel 1860) ha sempre svolto attività di assistenza sia a favore di persone sane che malate, la prima tramite gli stabilimenti di riposo, la seconda tramite quelli di cura, rappresentati oggi nel complesso ospedaliero sito in via Pelagio Palagi e via Albertoni. Per effetto dell'art. 3, secondo comma della legge 12 febbraio 1968 n. 132, gli ospedali appartenenti a enti pubblici che abbiano come scopo - oltre l'assistenza ospedaliera - anche finalità diverse, devono essere costituiti in Ente ospedaliero. È quello che è stato fatto per l'ospedale "Marcello Malpighi", finora appartenuto all'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, che, con decreto del presidente della Regione Emilia Romagna n. 241 del 6 aprile 1976 è stato costituito in Ente ospedaliero con propria personalità giuridica ed un proprio patrimonio, analiticamente determinato nello stesso decreto di costituzione, in base alle indicazioni fornite dalla speciale Commissione provinciale prevista dall'art. 5 della legge n. 132 sopra citata".
Nel 1977 fu predisposta una complessiva ristrutturazione dei locali di via Albertoni, dove, l'anno successivo, fu aperta una casa di riposo protetta, in grado di accogliere sessantasei anziani non autosufficienti. Nel 1980 l'istituto Giovanni XXIII ottenne in comodato dalla Provincia di Bologna una parte dell'ospedale psichiatrico Roncati, in via Carlo Pepoli, dove venne inaugurato, nel 1982, un reparto protetto. Nel 1981 prese in gestione, con un contratto di comodato della durata di 35 anni, la casa di riposo Villa Aldini, in via dell'Osservanza 35. Nel 1984 acquistò dal Comune, tramite la permuta del teatro Arena del Sole, l'area denominata Caserme Rosse, in via Saliceto 71. Qui, nel 1990, venne inaugurata una nuova casa protetta per anziani non autosufficienti.
Nel 1988, il Consiglio di amministrazione, con deliberazione n. 239 del 9 giugno, decretò la fusione dell'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e dell'Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe e provvide all'incorporazione dei patrimoni Ex gesuitico, Eredità Ferrarini, Eredità Zamboni, Eredità Mattei. In quella seduta di Consiglio si rilevò, infatti, che "la separazione dei patrimoni e delle gestioni amministrative delle singole opere pie, cui andava aggiunta la gestione contabile dell'Amministrazione generale per le spese comuni alle singole aziende, rappresentava un notevole, per quanto inutile, aggravio di spesa". Si considerò inoltre che "nel corso degli ultimi decenni l'importanza delle opere pie annesse si era andata via via affievolendo almeno sul piano assistenziale".
Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e annessa opera pia Orfanotrofio S. Leonardo (1989-2006)
La fusione delle opere pie fu confermata l'11 dicembre 1989 con decreto n. 832 della Regione Emilia Romagna. Venne pertanto creato l'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e annessa opera pia Orfanotrofio S. Leonardo, che non poteva essere incorporata per via dei diversi scopi assistenziali. Nel frattempo era stata predisposta una riforma dello statuto che, approvata dal Consiglio regionale con deliberazione 2806 del 26 giugno 1989, fu ulteriormente modificata nel 1993. Il numero dei componenti del Consiglio di amministrazione fu ridotto da quindici a cinque, nominati tre dal Consiglio comunale, uno dal Consiglio provinciale e uno dai soci contribuenti (deliberazione n. 25 dell'8 febbraio 1993).
In tempi più recenti, le tre Ipab Istituto Giovanni XXIII, annesso Orfanotrofio S. Leonardo e Istituto Antirabico (n.d.r. L'istituto era sorto nel 1889 per volere del prefetto di Bologna commendatore avvocato Giacinto Scelsi, al fine di garantire le cure necessarie a persone riconosciute in condizioni di assoluta povertà che erano state morsicate da animali rabidi o presunti tali.) sono state fuse nell'unica Azienda pubblica di servizi alla persona (Asp) Giovanni XXIII. La fusione è stata approvata dal Consiglio di amministrazione nella seduta del 30 maggio 2006 (deliberazione n. 10).
"Il consiglio di amministrazione delibera:
1. di approvare la proposta di fusione dell'Ipab Istituto Giovanni XXIII con l'Opera Mendicanti detta Orfanotrofio di S. Leonardo e con l'Istituto antirabico.
2. di approvare la proposta di costituzione di un'unica Azienda di servizi alla persona denominata "Giovanni XXIII" derivante dalla fusione delle Ipab Istituto Giovanni XXIII, Opera mendicanti detta Orfanotrofio S. Leonardo e Istituto antirabico, Azienda che persegue finalità sociali e socio sanitarie salvaguardando l'ispirazione fondativa delle istituzioni da cui deriva con particolare riferimento al settore dell'assistenza agli anziani e ai soggetti con patologie assimilabili a quelle dell'età senile, in special modo a coloro che versano in condizioni di disabilità e non autosufficienza".
Tale deliberazione, che ha ricevuto l'approvazione della Giunta regionale il 29 dicembre 2006 (d.g.r. n. 1952) ed è divenuta esecutiva dal gennaio 2007, ha di fatto provveduto all'attuazione della l. 12 marzo 2003, n. 2 della Regione Emilia Romagna. Il tit. IV della suddetta legge ha previsto il riordino delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (n.d.r. Ispirandosi ai principi della l. 8 novembre 2000, n. 328 e del d.l. 4 maggio 2001, n. 207.) in Aziende pubbliche di servizi alla persona, mutandone di fatto la natura giuridica e inserendole in un nuovo sistema di welfare regionale e locale.

La struttura
Il Regio ricovero Vittorio Emanuele II nacque come ente di assistenza nel 1860. Nel 1864 gli fu affidata l'amministrazione di due opere pie cittadine: l'Orfanotrofio S. Leonardo e l'Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe. Da quella data il ricovero cominciò a configurarsi come un ente composito che comprendeva tre istituti distinti, aventi autonoma personalità giuridica e indipendenti patrimoni:
- Regio ricovero Vittorio Emanuele II;
- Orfanatrofio S. Leonardo;
- Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe.
Tali istituti erano gestiti e rappresentati da un'unica amministrazione centrale. Ogni istituto era affidato a un direttore, scelto nel proprio seno dal Consiglio amministrativo. Dal 1863 il ricovero amministrava anche il patrimonio ex gesuitico, dotato di autonomia, ma privo di personalità giuridica; a questo si aggiunsero, tra il 1880 e il 1905, i cospicui patrimoni delle eredità Ferrarini, Zamboni e Mattei.
L'amministrazione
Il primo regolamento, adottato nel 1860, prevedeva che l'Amministrazione del ricovero fosse composta da 35 membri di cui tre stabili (il sindaco e due consiglieri deputati dal Consiglio comunale) e trentacinque eletti periodicamente dall'assemblea dei soci contribuenti. In seno all'Amministrazione veniva eletta una Direzione composta da un presidente, un vice-presidente e dieci direttori. La riforma statutaria del 1884 soppresse la distinzione tra Amministrazione e Direzione. Fu, così, costituito un unico Consiglio amministrativo composto da 15 membri:
- 8 nominati dal Consiglio comunale;
- 4 dal Consiglio provinciale;
- 3 dalla Società dei contribuenti.
Il consiglio eleggeva nel proprio seno un presidente e un vicepresidente. Il "Regolamento generale d'amministrazione" del 1892 prevedeva che il Consiglio amministrativo fosse diviso in tre sezioni:
- di beneficenza;
- tecnica;
- legale.
La sezione di beneficenza aveva competenze in merito all'erogazione dell'assistenza e ai mezzi per renderla più proficua; la sezione tecnica supervisionava tutte le questioni finanziarie e contabili (investimenti, bilanci, riscossioni di capitali ecc.) e la gestione del patrimonio immobiliare (affittanze, nuove costruzioni, manutenzione straordinaria ecc.); la sezione legale esaminava tutte le questioni che implicavano l'interpretazione e l'applicazione di principi di diritto (contratti, controversie ecc.). L'assegnazione dei consiglieri alle diverse sezioni era stabilita nella seduta di inizio anno, contestualmente alla nomina del presidente e dei direttori.
Le sezioni furono soppresse dal "Regolamento generale d'amministrazione" del 1961 e sostituite da quattro commissioni permanenti:
- assistenza;
- tecnica;
- legale;
- personale.
Il Consiglio amministrativo era affiancato dalla Società dei contribuenti, di cui facevano parte i cittadini che contribuivano con proprie risorse al mantenimento dell'istituto. I soci contribuenti avevano il "diritto di formulare dei voti e delle proposte in ordine all'andamento amministrativo" (art. 11 del "Regolamento generale d'amministrazione" del 1892). Gli uffici In origine, come si legge nel "Regolamento fondamentale del Regio istituto da stabilirsi in Bologna pei mendichi della città e provincia" adottato nel 1860, il personale del Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II era composto da:
- un segretario;
- un tesoriere;
- un rettore e un vicerettore per il servizio di culto;
- un ispettore sorvegliante e responsabile degli oggetti appartenenti all'istituto;
- un contabile e un computista;
- un archivista-protocollista;
- un medico;
- un chirurgo;
- un dispensiere;
- una vigilatrice delle donne;
- una guardarobiera.
Il "Regolamento generale d'amministrazione" del 1892 sancì una migliore e più efficiente organizzazione del personale, dividendo gli uffici in 4 divisioni:
- segreteria;
- contabilità (chiamata ragioneria dal 1961);
- economato;
- tesoreria e cassa.
La segreteria era l'ufficio principale dell'amministrazione e aveva il compito di dare e ricevere il primo impulso agli affari, di seguirne lo svolgimento attraverso gli altri uffici, di iniziare i provvedimenti amministrativi necessari al buon andamento delle aziende (art. 123). L'ufficio comprendeva quattro sezioni:
- segreteria generale;
- archivio protocollo e spedizione;
- ufficio delle ammissioni;
- ufficio legale.
L'ufficio contabilità-ragioneria aveva due tipi di attribuzioni:
- registrazione e compilazione di bilanci e conti;
- controllo di tutte le pratiche che interessavano le aziende.
L'ufficio di economato era preposto alla stipulazione di tutti i contratti di compra vendita, di affitto, di forniture e di somministrazioni. Provvedeva a tutti i bisogni materiali degli istituti, sorvegliava i fondi amministrati in economia o affittati, provvedeva alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli stabili, alla manutenzione del mobiliare degli uffici; preparava gli elementi necessari per la compilazione dei bilanci (art. 170).
L'ufficio tesoreria e cassa era preposto ai pagamenti dei mandati; era depositario dei titoli e dei valori dell'Amministrazione, delle cauzioni degli affittuari, dei fornitori ecc. Deteneva i libretti di risparmio dei fanciulli e i libretti dotali.

Assistenza e cura degli anziani, degli orfani e dei mendicanti.

Legislazione
- decreto del governatore dell'Emilia 10 marzo 1860 (noto anche come "decreto Farini"), relativo, tra gli altri, all'istituzione del Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II;
- regio decreto 13 ottobre 1861, relativo alla fusione nel nuovo Ricovero di mendicità le gestioni e le rendite patrimoniali del Pio spedale degli abbandonati del Ss. Salvatore e ricovero uniti;
- deliberazione del Consiglio provinciale di Bologna del 28 aprile 1863, relativa all'affidamento dell'amministrazione del Patrimonio ex gesuitico al Regio ricovero;
- regio decreto 28 agosto 1864, relativo all'affidamento dell'amministrazione dell'Orfanotrofio S. Leonardo e dell'Ospizio dei vecchi settuagenari di S. Giuseppe e dell'Ospizio dei preti poveri al Ricovero di mendicità;
- regio decreto 6 novembre 1880 relativo all'incameramento del patrimonio dell'Eredità Ferrarini;
- regio decreto 20 novembre 1887, relativo all'accettazione dell'Eredità Carletti;
- legge 6972 del 17 luglio 1890 (nota anche come "legge Crispi"), relativa al riassetto degli istituti di beneficienza;
- regio decreto 20 ottobre 1905, relativo all'accettazione dell'Eredità Mattei;
- ordinanza del Comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica del 9 gennaio 1951, relativa al cambio di denominazione da "Ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II e opere pie annesse in Bologna" in "Casa di riposo in Bologna e istituti annessi";
- decreto del presidente della Repubblica 26 aprile 1965, relativo all'adozione della denominazione "Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse";
- decreto del presidente della Repubblica 30 novembre 1967, relativo all'adozione della denominazione di "Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse";
- decreto del presidente della Giunta regionale dell'Emilia-Romagna n. 241 del 6 aprile 1976, relativo allo scorporo delle attività ospedaliere dalle attività assistenziali;
- decreto della Regione Emilia-Romagna n. 832 dell'11 dicembre 1989, relativa alla fusione dell'Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e dell'Ospizio vecchi settuagenari di S. Giuseppe e alla conseguente incorporazione dei patrimoni Ex gesuitico, Eredità Ferrarini, Eredità Zamboni, Eredità Mattei;
- legge 2 del 12 marzo 2003 della Regione Emilia Romagna, relativo al riassetto delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;
- decreto della Giunta regionale dell'Emilia-Romagna n. 1952 del 29 dicembre 2006, relativo alla fusione dell'Ipab Istituto Giovanni XXIII con l'Opera Mendicanti detta Orfanotrofio di S. Leonardo e con l'Istituto antirabico.

Tipologia:

  • ente di assistenza e beneficenza

Note:

Scheda descrittiva a cura di Chiara Buonfiglioli, Gerardo Gentile e Allegra Paci, redatta nel 2012 nell'ambito del progetto "Una città per gli archivi" promosso e finanziato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e dalla Fondazione Cassa di risparmio in Bologna.

Fonti archivistiche:

- ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA [d'ora in avanti ASBo], Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Atti della Direzione e del Consiglio amministrativo del Regio ricovero di mendicità Vittorio Emanuele II.

- ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Carteggio e atti classificati (in particolare il tit. 1 di ogni serie).

- ASBo, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII, Statuti regolamenti notizie storiche diverse.

- ARCHIVIO DELL'AZIENDA PUBBLICA SERVIZI ALLA PERSONA (ASP) GIOVANNI XXIII, Istituto di cura e riposo Giovanni XXIII e opere pie annesse, Verbali delle sedute del consiglio di amministrazione.


Fonti bibliografiche:

- C. F. ZANELLI, Origini e vicende del Regio Ricovero Vittorio Emanuele II di Bologna, Bologna-Trieste, Cappelli, 1925.

- G. AZZOLINI, Il Ricovero di Mendicità Vittorio Emanuele II di Bologna, le OO. PP. Annesse e l'ospedale Marcello Malpighi, in «Giornale di gerontologia», 1960, pp. 65-71.

- Arte e Pietà. I Patrimoni culturali delle Opere Pie, catalogo della mostra tenuta a Bologna, a cura dell'ISTITUTO PER I BENI CULTURALI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA, Bologna, Clueb, 1980, pp. 276-288.

- La città della Carità. Guida alle istituzioni assistenziali di Bologna dal XII al XX secolo, a cura di M. CARBONI - M. FORNASARI - M. POLI, Bologna, Costa, 1999, p. 91.

- V. ZAPPETTI, Filantropi e benefattori per tradizione, Bologna, Compositori, 2002.

- Nel nome di Bologna. Consulta tra Antiche Istituzioni Bolognesi, a cura di G. FRANCHI SCARSELLI, Bologna, L'inchiostro blu, 2007.
Complessi archivistici: Redazione e revisione:
  • Redatta in xDams , 02/04/2012 - 09/07/2013