Sede:
Bologna, 1944 -Date di esistenza:
- 10 novembre 1944 -
Intestazioni:
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera del lavoro di Bologna, Bologna, (1944 - )
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL di Bologna, Bologna, (1944 - )
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera del lavoro metropolitana - CDLM di Bologna, Bologna, (1996 - )
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera del lavoro territoriale - CDLT di Bologna, Bologna, (1981 - 1995)
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera confederale del lavoro - CCDL di Bologna, Bologna, (1944 - 1981)
Altre denominazioni:
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL di Bologna, 10 novembre 1944 -
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera del lavoro metropolitana - CDLM di Bologna, 1 gennaio 1996 -
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera del lavoro territoriale - CDLT di Bologna, 21 novembre 1981 - 31 dicembre 1995
- Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL. Camera confederale del lavoro - CCDL di Bologna, 10 novembre 1944 - 21 novembre 1981
Descrizione:
Camera confederale del lavoro di Bologna (1944 - 1981)Le linee guida sulle quali si fondò la nascita della Camera confederale del lavoro di Bologna furono quelle contenute nella "Dichiarazione sulla realizzazione dell'unità sindacale", meglio conosciuta come "Patto di Roma", sottoscritta nella capitale ancora occupata il 3 giugno 1944 da Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari, cui seguì la formazione, a livello nazionale, della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil) nell'Italia liberata. La dichiarazione prevedeva uniche federazioni nazionali per ogni ramo di attività produttiva e uniche camere del lavoro confederali in ogni provincia.
Alla ricostituzione della Camera del lavoro di Bologna, dopo la lunga parentesi d'inattività cui l'aveva costretta il regime fascista, parteciparono dunque esponenti delle diverse correnti politico-sindacali antifasciste (comunisti, socialisti, democratici cristiani, repubblicani, azionisti), a loro volta espressione dei movimenti sindacali che vissero nel periodo prefascista. Una prima Camera del lavoro era infatti sorta a Bologna già nel 1893 grazie al concorso di numerose società di mutuo soccorso, cooperative e associazioni professionali. La prima sede della Camera del lavoro fu in via Cavaliera (ora via Oberdan). I frequenti contrasti tra la Federterra, la più importante organizzazione di mestiere della provincia, e la gestione anarco-sindacalista della Camera portarono nel 1912 alla scissione con la conseguente fondazione della "nuova" Camera del lavoro. Quest'ultima, egemonizzata dai socialisti riformisti, aveva aderito alla Confederazione generale del lavoro, mentre la "vecchia" Camera anarco-sindacalista si era associata all'Unione sindacale italiana. La "vecchia" Camera, con sede nell'ex ospedale della Santissima Trinità presso Porta Lame, cessò le proprie attività pubbliche il 6 agosto 1922 a seguito dell'incendio dei locali a opera delle squadre fasciste, mentre la "nuova" Camera del lavoro, con sedi in via Cavaliera e via D'Azeglio, cesserà di funzionare del tutto tra il 1923 e il 1924, dopo che i ripetuti assalti fascisti del 4 novembre 1920, del 21 gennaio 1921 e del 27 maggio 1922 avevano sensibilmente ridotto la sua capacità d'azione. La legge 3 aprile 1925, n. 563 ("Disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro") (n.d.r. Successivamente abrogata con decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369.) provvide in seguito a inibire definitivamente il diritto allo sciopero e ad attribuire alle sole associazioni "legalmente riconosciute" la facoltà di stipulare contratti collettivi.
Il processo unitario avviato con la firma del Patto di Roma fu rappresentato a Bologna dalla nascita di una Commissione provvisoria esecutiva (altre volte individuata anche col nome di "Comitato esecutivo provvisorio"), riunitasi per la prima volta il 10 novembre 1944 nei locali della canonica della chiesa di Santa Cristina in via del Piombo. Membri di quel primo organo di governo, designati dai partiti clandestini riuniti nel Comitato di liberazione nazionale, furono i comunisti Paolo Betti, Agostino Ottani e Giorgio Volpi; i socialisti Giuseppe Bentivogli (ucciso dai fascisti alla vigilia della liberazione della città), Giuseppe Gotellini e Ottorino Guidi; il socialista proletario Clodoveo Bonazzi (già segretario della "vecchia" Camera del lavoro di Bologna in periodo prefascista); i democratico-cristiani Angelo Salizzoni e Filippo Cavazza; il repubblicano Umberto Pagani; nonché un rappresentante del Partito d'azione. In quella circostanza si costituì formalmente, sebbene illegalmente, la Camera confederale del lavoro di Bologna, l'unico esempio in Italia di camera del lavoro in clandestinità, che apportò un rilevante contributo all'esperienza di lotta contro il fascismo. La Camera avrebbe avuto giurisdizione provinciale e la sua struttura si sarebbe basata su tre federazioni e dieci comitati di categoria. L'intento evidente della decisione era di assicurare alla Camera un ruolo di coordinamento delle legittime aspirazioni di autonomia delle singole federazioni (n.d.r. Sulle discussioni e le riflessioni avvenute nel movimento sindacale organizzato, a livello italiano e internazionale, durante il ventennio cfr. L. CASALI, «Per il pane, lavoro, libertà e non guerra». Appunti sulla stampa sindacale clandestina in provincia di Bologna durante il fascismo, in Il sindacato nel bolognese. Le camere del lavoro di Bologna dal 1893 al 1960, a cura del CENTRO DOCUMENTAZIONE - ARCHIVIO STORICO DELLA CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE DI BOLOGNA, Roma, Ediesse, 1988, pp. 295-357.). La chiesa di S. Cristina divenne nei cinque mesi che precedettero la liberazione della città, l'abituale luogo di ritrovo dei membri della commissione, che da quella sede stabilirono, ad esempio, l'adesione della Camera alla Cgil, la pubblicazione dell'organo di stampa ufficiale "La voce dei lavoratori", la riorganizzazione delle federazioni dei metallurgici, dei muratori e della Federterra, nonché dei comitati di categoria dei falegnami, ferrovieri, tranvieri, secondari, trasporti, arte bianca, lavoratori del libro e tipografie, calzolai, gasisti e postelegrafonici.
Nel pomeriggio del 22 aprile 1945 la commissione s'insediò stabilmente nell'ex Casa del contadino di via Roma (ora via Marconi), edificata tra il 1940 e il 1941 su progetto di Giuseppe Mengoli e Florestano Di Fausto per ospitare la sede della Confederazione fascista dei lavoratori dell'agricoltura, segnando di fatto l'inizio delle attività pubbliche del sindacato. In seguito, l'ordinanza del Comando alleato, con la quale si dichiaravano sciolte tutte le organizzazioni sindacali fasciste, pubblicata anche a Bologna l'8 maggio 1945, legittimò il diritto dei lavoratori a riunirsi e organizzarsi. Nel corso della manifestazione del 1° maggio 1945 i tre segretari provvisori Onorato Malaguti, Clodoveo Bonazzi e Giuliano Comandini illustrarono ai lavoratori la politica del sindacato e i progetti della Cgil, iniziando la campagna di tesseramento.
Tra il 5 e il 7 maggio 1946 la Camera del lavoro di Bologna celebrò all'Arena del sole il suo primo congresso provinciale unitario, al quale partecipò con una relazione anche Luciano Lama, della segreteria nazionale della Cgil. Fu quella l'occasione per ribadire i principi del Patto di Roma e per comunicare il numero dei tesserati della Camera, che ad aprile 1946 arrivarono a toccare la quota di 166.115.
Secondo l'art. 19 dello statuto approvato dal primo congresso nazionale della Cgil (Napoli, 28 gennaio - 1° febbraio 1945), la camera del lavoro «realizza l'unità organica della classe operaria e di tutti i lavoratori organizzati della rispettiva provincia» (n.d.r. Il secondo congresso nazionale della Cgil, celebrato nell'ottobre del 1949 dopo la scissione del luglio 1948, modificò parzialmente questa definizione, riferendosi non più all'unità organica della classe operaia, ma più semplicemente alla unità organizzativa di tutti i lavoratori della provincia (art. 20).) , ed è costituita da tutte le camere confederali del lavoro locali, che ne sono sezioni e succursali, e da tutte le federazioni di categoria provinciali.
Dall'11 al 13 maggio 1947 si tenne il secondo congresso provinciale, l'ultimo a livello unitario prima della rottura dell'unità sindacale consumata nell'estate del 1948 a seguito dell'allontanamento dei dirigenti cristiano-democratici. Questi avevano già iniziato a dimettersi dalle cariche interne della Camera del lavoro dopo il secondo congresso provinciale delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli) del maggio 1948. Il 15 luglio dello stesso anno i democratico-cristiani, denunciando «l'eccessiva durata e il carattere politico dello sciopero» indetto contro l'attentato a Palmiro Togliatti, proclamarono la loro uscita dalla Cgil. Nella prima decade di agosto i cosiddetti "scissionisti", già espulsi da tutte le organizzazioni di categoria, si costituirono in corrente autonoma, cominciando a esercitare funzioni sindacali e aderendo successivamente a livello nazionale alla Libera confederazione italiana del lavoro (Lcgil), nata ufficialmente il 17 ottobre 1948 per distacco dalla Cgil. Nel maggio del 1949 anche i repubblicani e i socialdemocratici determinarono la loro uscita dalla Cgil per fondare la Federazione italiana del lavoro (Fil), quasi in concomitanza con la celebrazione del terzo congresso provinciale della Camera del lavoro (3-5 luglio 1949). La coesistenza di tre sigle sindacali autonome, a soli cinque anni di distanza dalla firma del Patto di Roma, rappresentò l'inevitabile conclusione di un processo iniziato già nel maggio del 1947 con la crisi del governo di unità nazionale e con le scissioni, in chiave anticomunista, all'interno della compagine socialista (n.d.r. Per una più ampia ricostruzione delle storia della Camera del lavoro nei primissimi anni del Dopoguerra cfr. P. FURLAN, Gli anni della ricostruzione (1945-1950), in Il sindacato nel bolognese, cit., pp. 359-416.).
Il quarto congresso provinciale della Camera, svolto tra il 26 e il 28 settembre 1952, precedette di qualche mese il terzo congresso nazionale della Cgil (Napoli, 26 novembre - 3 dicembre 1952): in quella circostanza le camere locali furono ridefinite "comunali" o "rionali", perdendo l'appellativo di "confederali", riservato solo alla camera del lavoro provinciale. Dagli anni Sessanta saranno sempre più spesso indicate come "zonali" o "comprensoriali" o "frazionali", acquisendo parimenti una progressiva maggiore autonomia rispetto alla camera confederale.
La critica storiografica ha teso a definire il periodo compreso tra il Patto di Roma e la fine degli anni Cinquanta come la fase "centralizzata e orizzontale" del sindacato. La necessità di ricostruzione aveva infatti determinato il primato delle strutture territoriali, lasciando in ombra i sindacati di categoria. Così, mentre da un lato si erano rifondate rapidamente tutte le camere del lavoro provinciali, che articolavano capillarmente la loro presenza sindacale orizzontale nella miriade di case del popolo edificate nei quartieri periferici delle grandi città e di ogni paese, la volontà di scongiurare aziendalismi corporativi aveva fatto sì che in fabbrica le commissioni interne non venissero considerate strutture del sindacato, che non gli venisse riconosciuto alcun potere rivendicativo, e che non venissero menzionate nello statuto dell'organizzazione. La stessa logica aveva escluso dallo sviluppo generale del sindacato i consigli di gestione, organismi misti operai-padrone, che avevano fatto la loro prima comparsa negli anni della solidarietà nazionale. Schematizzando, i quindici anni che vanno dal Patto di Roma alla fine degli anni Cinquanta videro in Italia il sindacato strutturato su soli due livelli decisionali (provinciale e nazionale), con quattro strutture (confederale e di categoria in entrambi i livelli), molto centralizzato nelle scelte e prevalentemente orizzontale.
Il quinto congresso provinciale si svolse tra il 6 e l'8 dicembre 1955, mentre per l'organizzazione del sesto congresso si dovette attendere il marzo del 1960. Quell'anno rappresentò indubbiamente la conclusione di un ciclo, che aveva visto le diverse rappresentanze del movimento sindacale involvere verso una differenziazione ad oltranza delle proprie posizioni politiche. Lo stesso Di Vittorio, in un'analisi presentata in occasione del quarto congresso nazionale (Roma, 27 febbraio - 4 marzo 1956), ammise «gli errori compiuti dalla Cgil che hanno portato a determinati insuccessi. Il principale di questi errori è consistito nel fatto che la Cgil si è attardata per troppo tempo e quasi esclusivamente, sul vecchio schema delle rivendicazioni salariali di carattere generale, senza tenere nel dovuto conto le profonde modificazioni intervenute nel processo produttivo, nelle forme di organizzazione del lavoro, nei modi di retribuzione, nei metodi di direzione e di pressione dei padroni sulle maestranze, che vanno dalle rappresaglie più brutali ai mezzi di corruzione paternalistica e di esautoramento dei sindacati e delle Commissioni interne» (n.d.r. Sul ruolo della Cgil e della Camera del lavoro di Bologna negli anni dello sviluppo economico italiano cfr. M. MEZZETTI, Un decennio di cambiamento per la Cgil e per la Camera del lavoro di Bologna (1950-1960), in Il sindacato nel bolognese, cit., pp. 417-455.). Il primo rilevante frutto della nuova stagione che stava per aprirsi può individuarsi nel patto per l'unità d'azione, siglato nell'autunno del 1959 tra Federazione impiegati operai m etallurgici (Fiom), Federazione italiana metalmeccanici (Fim) e Unione italiana lavoratori metalmeccanici (Uilm) per la realizzazione di un coordinamento nazionale unitario di lotte e trattativa.
Il coordinamento riaprì la strada alla riflessione sull'unità sindacale, che attraverso varie tappe, la più rilevante delle quali è certamente l'apertura di una formale discussione sul sindacato unitario, proposta da Lama al settimo congresso nazionale della Cgil (1969), condusse, il 24 luglio 1972, alla firma del Patto federativo interconfederale tra Cgil, Cisl e Uil. Le tre sigle, si legge nel preambolo al testo, «confermando l'obiettivo dell'unità sindacale quale esigenza irrinunciabile per assicurare una più valida e completa difesa degli interessi dei lavoratori», decisero di costituire, con carattere di transitorietà, una federazione tra le confederazioni, articolata ai vari livelli, con prerogative delegate e organi propri, denominandola "Federazione Cgil Cisl Uil". Dal patto scaturì la costituzione dei consigli unitari di zona. Nel novembre del 1975 si costituì inoltre un Centro operativo unitario della Federazione Cgil Cisl Uil di Bologna con sede presso la Camera del lavoro, allo scopo di garantire agli organi della Federazione (segreteria, comitato direttivo, etc.) di meglio assolvere alle funzioni di direzione politica e di coordinamento dell'insieme delle attività sindacali.
Il periodo compreso tra il 1960 e la firma del patto federativo del 1972 assume così in una visione storiografica il nome di fase "verticale e articolata" del sindacato, durante la quale prevalgono le istanze delle strutture di categoria (verticali) su quelle orizzontali. In fabbrica alle commissioni interne (mai riconosciute come agente della contrattazione) si affianca all'inizio la sezione sindacale aziendale. Ma l'articolazione della lotta nel suo momento più altro (1968-1970) porta al superamento di entrambe con il riconoscimento, da parte dell'ottavo congresso della Cgil (Bari, 1973), dei consigli di fabbrica, ossia dei collettivi dei delegati eletti dai lavoratori indipendentemente dalla confederazione di appartenenza. Sintetizzando, la seconda fase è caratterizzata quindi da un sindacato prevalentemente verticale e articolato, organizzato su tre livelli, con cinque strutture (nazionale confederale, nazionale di categoria, provinciale confederale, provinciale di categoria, aziendale).
Camera del lavoro territoriale di Bologna (1981 - 1995)
Il decimo congresso nazionale della Cgil (16 - 21 novembre 1981), in attuazione della riforma organizzativa già delineata nel corso del convegno nazionale unitario di Montesilvano del novembre 1979, portò, tra gli altri mutamenti, alla sostituzione delle camere confederali del lavoro, con competenza provinciale, con le camere del lavoro territoriali con competenza in ambito comprensoriale. Nella realtà bolognese, in particolare, la Camera confederale fu sostituita nel 1981 da due camere del lavoro territoriali: quella di Bologna, che conservò la competenza su gran parte della provincia, e quella di Imola.
Il compromesso unitario di Montesilvano portò dunque al mantenimento delle strutture orizzontali e verticali provinciali, ridisegnando i territori di alcuni comprensori. Si giunse così ad un edificio organizzativo in cinque livelli (nazionale, regionale, territoriale, zonale, aziendale), con nove strutture (unica solo in fabbrica, orizzontale e verticale negli altri quattro livelli). L'inserimento di un nuovo livello orizzontale a livello regionale e la riscrittura dei confini delle antiche camere provinciali devono essere certamente intesi come risposta al nascente decentramento amministrativo.
Il mutamento di competenza territoriale non influì sulle funzioni e sulle strutture della Camera del lavoro che mantenne, nel caso di Bologna, una sostanziale continuità, denunciata anche dall'indistinta presenza nelle carte, almeno fino all'agosto 1982, sia dell'intestazione "Camera confederale del lavoro" che della nuova denominazione "Camera del lavoro territoriale".
Camera del lavoro metropolitana di Bologna (1996 - )
Il cambiamento di denominazione da "Camera del lavoro territoriale" a "Camera del lavoro metropolitana", ufficializzato dal verbale del Comitato direttivo del 25 novembre 1995, era, di fatto, già in atto alla fine del 1994, periodo in cui si concretò il progetto, promosso da Comune, Provincia e vari altri enti interessati, di fare di Bologna una città-area metropolitana. La Camera del lavoro aderì ben presto all'iniziativa, tant'è che già dal dicembre del 1994 su una parte della corrispondenza cominciò a presentarsi la nuova intestazione di "Camera del lavoro metropolitana". Il cambiamento divenne sempre più evidente nei primi mesi del 1995 e in quelli che seguirono: sul carteggio iniziò a comparire con sempre maggiore frequenza l'intitolazione "Camera metropolitana", e si cominciò a parlare quasi esclusivamente di "Comitato direttivo" e "Segreteria della Camera del lavoro metropolitana". Il timbro di protocollo tuttavia rimase ancora per qualche tempo intestato alla "Camera del lavoro territoriale". Il verbale del Comitato direttivo del 25 novembre 1995, in cui si legge che «il presidente, facendo seguito a quanto discusso in altri Comitati direttivi, relativi alla scelta della Cgil nazionale di costituire le Camere del lavoro metropolitane in coincidenza con le città-area metropolitana, propone che, a partire dal 1° gennaio 1996, l'associazione assuma la nuova denominazione: Confederazione generale italiana del lavoro Camera del lavoro metropolitana di Bologna», non fece altro dunque che ufficializzare una situazione di fatto.
Il territorio di competenza della Camera del lavoro metropolitana di Bologna è oggi rappresentato dall'insieme dei comuni della provincia con l'esclusione del circondario imolese. La Camera del lavoro è presente con proprie sedi in ogni quartiere e in ogni comune e la sua struttura organizzativa si articola su otto camere del lavoro intercomunali.
Gli organismi dirigenti ed esecutivi delle camere del lavoro non sono stabiliti da uno statuto camerale, ma dallo statuto nazionale della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil) e dalle sue successive modifiche. L'organizzazione in uffici e commissioni di lavoro è invece frutto di autonome scelte locali. Il primo statuto della Cgil ha previsto per le camere del lavoro i seguenti organi:
- il congresso, che definisce le linee politiche che guidano la vita del sindacato tra un congresso e l'altro. Convocato generalmente a cadenze fisse, è preceduto dai congressi delle diverse federazioni di categoria e delle zone, che eleggono i delegati e discutono i documenti e le proposte che saranno presentati al congresso della camera del lavoro;
- la commissione esecutiva poi comitato direttivo, eletto dal congresso, che costituisce l'organo deliberante all'interno della camera del lavoro. Oltre a dirigere l'organizzazione sindacale (nelle linee decise dal congresso), elegge tra i suoi componenti la segreteria, alla quale compete la direzione operativa. Fra i membri della segreteria viene designato un segretario generale che rappresenta la camera del lavoro, cui si affiancano i componenti di segreteria;
- il consiglio generale provinciale o consiglio generale delle leghe e dei sindacati, composto dal comitato direttivo e dalle segreterie dei sindacati provinciali e delle strutture locali. Nei primi statuti del Dopoguerra era indicato anche come "l'organo di direzione generale e di orientamento della Camera del lavoro provinciale nel periodo che intercorre fra un Congresso e l'altro", mentre dal 1960 è ridefinito a semplice organo consultivo e di orientamento. Il consiglio generale provinciale o consiglio generale delle leghe ha
cessato di esistere a seguito dell'approvazione del nuovo statuto della Cgil del 1981.
Da un punto di vista più strettamente amministrativo e organizzativo, il centro di tutta l'attività della camera del lavoro è dunque la segreteria tecnica, che sovrintende alle politiche sociali, contrattuali, economiche, internazionali, alle linee di programmazione e di organizzazione.
All'interno della Camera del lavoro di Bologna hanno operato inoltre a vario titolo e in vari periodi diversi uffici di supporto:
- Ufficio amministrazione;
- Ufficio organizzazione;
- Ufficio studi;
- Ufficio previdenza e assistenza (operante nell'immediato periodo postbellico 1945-1949);
- Ufficio contratti e vertenze (funzionate fino al 1961);
- Ufficio sindacale (funzionate dal 1961 a seguito della scissione dell'Ufficio contratti e vertenze);
- Ufficio vertenze legale (funzionate dal 1961 a seguito della scissione dell'Ufficio contratti e vertenze);
- Ufficio economico;
- Ufficio legale (che funziona a partire dal 1981, periodo interessato dalla Camera del lavoro territoriale).
La Camera del lavoro di Bologna, in quanto ente aderente alla Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), è un'organizzazione sindacale di natura programmatica, unitaria, laica, democratica, plurietnica, di donne e uomini, che promuove la libera associazione e l'autotutela solidale e collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti o eterodiretti, di quelli occupati in forme cooperative e autogestite, dei parasubordinati, dei disoccupati, inoccupati, o comunque in cerca di prima occupazione, delle pensionate e dei pensionati, delle anziane e degli anziani (cfr. art. 1 dello Statuto).
La Camera del lavoro esercita inoltre funzioni di direzione e coordinamento del movimento sindacale, di studio dei problemi sociali, di propaganda e di «educazione sindacale delle masse», di promozione della solidarietà tra le diverse categorie.
Tipologia:
- organizzazione sindacale
Note:
Scheda descrittiva a cura di Marco Degli Esposti redatta nel 2012 nell'ambito del progetto "Una città per gli archivi", promosso dalla Fondazione Cassa di risparmio in Bologna e dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.Fonti bibliografiche:
- Il sindacato nel bolognese. Le camere del lavoro di Bologna dal 1893 al 1960, a cura del CENTRO DOCUMENTAZIONE - ARCHIVIO STORICO DELLA CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE DI BOLOGNA, Roma, Ediesse, 1988.
Redazione e revisione:
- Redatta in xDams , 10/02/2012 - 23/06/2014